La figura del venture capitalist nasce negli anni 30 negli USA, dove in quel periodo famiglie particolarmente facoltose (es. famiglia Rockfeller) decidono di investire parte delle loro risorse in piccole attività imprenditoriali. Con il tempo questa figura si è diffusa molto nel mondo anglosassone (es. in Inghilterra furono introdotte nel secolo scorso delle agevolazioni fiscali rivolte agli investimenti dei venture capitalist); molto meno diffusa è nell’Europa Continentale e in modo particolare in Italia, dove tale figura arriva molto più tardi.
Quindi, chi sono questi venture capitalist? E che caratteristiche hanno? In che cosa si specializzano?
Stiamo parlando di soggetti/operatori che si specializzano in determinati investimenti, cioè investono in società che hanno le seguenti caratteristiche:
- Sono molto piccole, cioè non hanno una grande quantità di capitale.
- Non sono quotate nei mercati finanziari.
- Propongono delle idee innovative o in generale hanno un elevato potenziale di sviluppo/crescita.
Un caso emblematico di società finanziata attraverso l’intervento di venture capitalist è il caso di Facebook. All’epoca investono nell’equity di una piccola società, non quotata in borsa, start up che si presentava con un’idea nuova.
Qual è il loro obiettivo?
Hanno l’obiettivo di sviluppare società che hanno un elevato potenziale di crescita; in alcuni casi si ha spesso l’obiettivo di portare queste imprese alla quotazione in borsa. Ovviamente questa tipologia di operatore investe anche con la finalità di ottenere un guadagno dall’investimento effettuato e quest’ultimo non viene rappresentato esclusivamente dal dividendo.Esso non punta ad avere grandi quantità di dividendo e questo rappresenta anche un motivo per cui non sottoscrive grandi partecipazioni ma punta quasi esclusivamente alla massimizzazione del capital gain, cioè alla possibilità di disinvestire dalla società portando a casa una quantità di denaro maggiore di quella investita.
Teniamo presente anche che non sempre vanno a guadagnare, anzi c’è da dire che questi soggetti spesso investono contemporaneamente in più imprese – solitamente si tratta di imprese molto diverse, che operano in differenti settori e che presentano differenti gradi di rischio – e solo poche riescono a superare la fase critica dello start up e diventano imprese di successo.
Capita talvolta che le imprese finanziate non conseguono i risultati sperati, per ragioni imputabili a scelte sbagliate degli stessi venture capitalist (es. si pensi alla scelta prematura di quotare un’impresa senza attendere i tempi di maturità dell’impresa ed il suo posizionamento sul mercato). Tale scenario viene chiamato effetto grand standing, cioè apparire più grandi della effettive condizione societarie, solo perché il venture capitalist ha l’esigenza di ottenere successi velocemente senza attendere la graduale e naturale crescita dell’impresa, con l’effetto di non conseguire i risultati sperati e danneggiare l’impresa lungo il suo ciclo di vita.
Tali scenari ci consentono di comprendere un’altra caratteristica di questi operatori , cioè che gli investimenti da lui posti in essere sono solo investimenti temporanei e quindi arrivati ad un certo punto il venture capitalist disinveste dall’attività in cui aveva inizialmente investito; questo disinvestimento viene giustificato col fatto che da un lato il venture capitalist ha aiutato l’impresa a svilupparsi e quindi ha raggiunto il suo obiettivo, mentre dall’altro si può dire che disinvestire è un modo che ha per raccogliere i frutti del suo investimento e andare così ad investire in altre attività innovative.
Venture capitalist: che cosa investono? E come investono?
Il venture capitalist sottoscrive capitale di rischio/equity.
Solitamente l’apporto di equity non è molto consistente e infatti le loro partecipazioni si aggirano intorno al 25% – 30% (es. nel caso di Facebook l’apporto di equity fornito dal venture capitalist si aggirava intorno ai $500.000 dollari); come possiamo notare il venture capitalist non ha l’intenzione di controllare la società con partecipazioni di controllo, anche perché il controllo se lo può garantire attraverso altre forme, ma il suo obiettivo come abbiamo detto precedentemente è quello di sviluppare il business aziendale.
Il VC non investe sempre risorse proprie, ma può investire anche mezzi di terzi, cioè capita che il venture capitalist raccolga risorse da una cerchia molto ristretta di soggetti e le investa in queste imprese; in questi casi possiamo definire il venture capitalist come un intermediario finanziario.
Oltre ad apportare denaro e conoscenza, essi apportano:
- Esperienza – l’esperienza apportata dal venture capitalist non significa che tali soggetti si specializzano in imprese che investono in determinati settori, ma investono in imprese che operano in vari settori, anche per poter diversificare i loro investimenti. Questo sta ad indicare che molto spesso l’esperienza che si accumula in un settore può essere utile anche per investire in un altro settore completamente diverso dal primo (es. se ce da affrontare un problema di tipo commerciale e il venture capitalist ha già affrontato questo problema in un’altra impresa in cui è stato presente, allora può trasferire quel tipo di esperienza nella nuova impresa in cui è entrato per affrontare più velocemente il problema).
- Relazioni – il fatto che quel determinato venture capitalist dia importanza a quella iniziativa e quindi investe in quella attività, allora significa che quella iniziativa è veramente buona; questo aspetto aiuta la stessa iniziativa a mitigare le asimmetrie informative del mercato perché il mercato interpreterà la partecipazione del venture capitalist come un elemento di certificazione della bontà dell’idea di business sottostante l’impresa e questo già di per sé alimenta fenomeni relazionali con i quali l’impresa potrà muoversi agevolmente nel mondo finanziario avendo maggiori chance di quante ne avrebbe se si muovesse da sola (es. un’impresa otterrà molto più facilmente un prestito bancario se al suo interno opera un venture capitalist). Alla fine il venture capitalist ha una funzione certificatrice per l’attività di impresa in cui investe.
Come riesce ad ottenere il controllo sull’impresa?
Attraverso altre forme di controllo:
- Il controllo di fatto – la partecipazione del venture capitalist si aggira intorno al 25% / 30%, quindi sottoscrive una quota considerevole di capitale e a questo si aggiunge anche il fatto che opera in un’impresa giovane, dove gli altri soci non hanno un’elevata esperienza in campo economico finanziario e quindi questo può agevolare il venture capitalist nel controllo della società; precisiamo che questa forma di controllo non è molto efficace in quanto non fornisce molte garanzie e tutto questo perché tale controllo può derivare solo da un contesto interno favorevole, che non sempre si può trovare all’interno delle imprese.
- Avere un ruolo nel consiglio di amministrazione, in modo tale da andare ad influenzare gli accadimenti societari.
- Meccanismi di governance che gli consentono di avere il controllo su alcune decisioni dell’impresa – tra i meccanismi di governance riconosciamo i patti parasociali, cioè degli accordi fatti tra i soci fuori dall’atto costitutivo; nel caso specifico, spesso tra venture capitalist e gli altri soci si viene a stipulare un patto parasociale in cui si prevede che certe decisioni devono essere prese o solo dal venture capitalist o che devono essere prese anche con il consenso del venture capitalist.
a cura di Fernando Del Rosso
Innovation Manager & Dottore Commercialista
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